Dissero di Albert Speer, ministro del Terzo Reich nonché architetto di Hitler, che avesse amato le macchine più delle persone. Ma nelle sue memorie, scritte mentre era in carcere, concluse dicendo che la Tecnica aveva lasciato in lui forti dubbi. Una amara conclusione, che questo nazista pentito lascia tra le nostre mani come un ordigno inesploso.

Il Novecento è stato il secolo dell’uomo nuovo. Tutti i regimi hanno cercato di plasmare l’umanità. Non hanno provato a farlo solo spiritualmente, ma soprattutto tecnicamente. La tecnica è il logos del progresso. Il progresso impone una visione ottimistica della vita; ma c’è un aspetto fondamentale, che non può essere messo da parte: il progresso non ammette dubbi. Ogni perché deve avere una risposta.

Il progresso crea la nozione, ossia, un dogma transitorio di fronte al quale la ragione deve fermarsi. Vero è che due più due fa sempre quattro, ma è anche vero che quattro è solo un freddo risultato e non è la soluzione dell’intero problema. In poche parole, se io riduco tutto a un dato, sarò stato bravo a sintetizzare, ma il resto mi sfuggirà e mi rimarrà ignoto.

Fatto sta che la tecnica riduce tutto al dato; la tecnocrazia impone un ragionamento per dati. Non è un caso che tutte le decisioni che interessano la sfera pubblica e privata siano ormai frutto di un’attenta analisi statistica.

In tutto questo, la verità non è più atemporale, ma è momentanea. Infatti, la tecnica si alimenta attraverso la ricerca; una ricerca, però, che né salva né distrugge. Pensate all’energia atomica, può aiutare o annientare l’umanità. Pensate alla moderna genetica che può essere usata tanto per fare del bene, quanto per dar vita a nuove e fantasiose forme di umanità. La tecnica mette in conto tutto. L’umanità pende dalle sue labbra.

Ma non è la tecnica a spaventarmi, quanto l’uso che se ne fa. Guido Rossi, nel suo Il ratto delle sabine, scrive mentire è potere. Romolo concepì Roma e le sue leggi proprio grazie alla capacità di divinizzare la brutalità attraverso l’arte della menzogna. Ecco, oggi la tecnica fa la stessa cosa, rendendo gli uomini schiavi di convinzioni ridotte all’osso, o meglio, “binarie”.

Se per Heidegger l’uomo è un essere-per-la-morte gettato nella precarietà, ecco che la verità diventa un evento unico e irripetibile. Ciò significa che non esistono verità assolute ed eterne, ma solo legate a una visione temporanea del tutto. E sebbene io sia d’accordo con questo concetto, riconosco però che anche il progresso rilascia solo verità transitorie. Infatti, il suo è un andare-avanti irreversibile, come il tempo.

A conti fatti, cosa c’è di speciale in tutto questo?
Il progresso migliora davvero le condizioni di vita dell’umanità?

Certamente, quando Speer iniziò a nutrire dubbi verso la tecnica, ritornò anche ad essere uomo. L’umanità in fondo è dubbio e vacillante conoscenza. Infatti, la conoscenza non ci chiede di ridurre tutto in dati o in nozioni, ma ci innalza e allarga i nostri orizzonti. In questo caso, la tecnica dà all’uomo nuove fondamenta e non solo gabbie dorate.

 

Articolo a cura di Martino Ciano – (pubblicato per gentile concessione  Zona di Disagio.

In foto Albert Speer, Bundesarchiv, Bild 146II-277 / Binder / CC-BY-SA 3.0, via Wikipedia

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