Presto le frontiere si dissolveranno! Presto finirà il tempo di guerre ed eserciti! Ogni volta che praticherete le virtù socialiste della Solidarietà e dell’Amore, farete sì che questo futuro sia più vicino. E allora, nella pace nella gioia, verrà un mondo in cui il socialismo trionferà, una volta compreso il dovere sociale di tutti di favorire il pieno sviluppo personale di ciascuno”.

Ma il punto cruciale circa il nuovo movimento operaio non era che fosse una nuova religione, o almeno riecheggiasse spesso il tono e lo stile delle religioni tradizionali, ma al contrario, che a ben guardare, sia stato così poco influenzato dai modelli religiosi perfino nei paesi in cui le masse erano più devote alla Chiesa e alle sue usanze.

Una delle ragioni principali del successo del Primo maggio era che fu considerato l’unica ricorrenza legata esclusivamente alla classe operaia come tale, senza alcuna aggiunta, e in più estorta tramite le iniziative dei lavoratori stessi. Più ancora: era il giorno in cui chi di solito era invisibile si mostrava in pubblico e, per una volta, conquistava lo spazio ufficiale di solito riservato a governanti e istituzioni. (…) In questo senso il solo nesso tra Festa del lavoro e religione tradizionale era la rivendicazione di una parità dei diritti. «I preti hanno le loro feste», proclamava nel 1891 un manifesto del Primo maggio a Voghera, «i moderati hanno le loro feste. Così i democratici. Il Primo maggio è la Festa dei lavoratori del mondo intero». Ma un altro fattore separava il movimento dei lavoratori della religione. La sua parola chiave era «nuovo», come in «Die neue Zeit» («Tempi nuovi»), titolo della rivista teorica marxista di Kautsky, o nella canzone proletaria austriaca ancor oggi associata al primo maggio, il cui ritornello recita: «Mit uns zieht die neue Zeit» («I tempi nuovi avanzano con noi»).  (…) Diversamente da altre ricorrenze, comprese molte manifestazioni più o meno ritualizzate del movimento operaio tenutesi in precedenza, il Primo maggio non commemorava niente, almeno al di fuori dell’influsso anarchico che mirava a collegarlo all’episodio degli anarchici di Chicago del 1886. Non verteva su niente fuorché sul futuro, che, al contrario di un passato che niente aveva avuto in serbo per il proletariato se non tristi esperienze («Du passé faisons table rase» cantava non per caso l’Internazionale), prometteva l’emancipazione. Inoltre, «il movimento» non offriva, come invece la religione, ricompense dopo la morte ma una Nuova  Gerusalemme su questa Terra.

Brani tratta da “Gente non comune”, di Eric J. Hobsbawm

La “gente non comune” protagonista di questi saggi è quella che viene di solito considerata proprio “gente comune”, senza nome e senza storia, e che non solo costituisce la massima parte della razza umana, ma ha un ruolo fondamentale nella storia. Così l’autore studia episodi significativi che hanno per protagonisti gli uomini e le donne delle classi “inferiori” fra la fine del Settecento e il Novecento: dalla protesta anti-industriale dei luddisti che distruggevano le macchine alla nascita della festa del Primo maggio, dalla vicenda del bandito Giuliano agli eroi del Jazz, dalla dinamica della guerriglia in Vietnam a quella della caccia alla streghe del senatore McCarthy.
  • Marchio: Bur
  • Collana: Saggi
  • Prezzo: 11,00 €
  • Pagine: 448
  • Formato libro: 22.6×15.0x2.2
  • Tipologia: BROSSURA
  • Data di uscita: 24/01/2007
  • ISBN carta: 9788817015066
  • ISBN E-book: 9788858630426

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