Il cinema delle origini, la scrittura di un film e la scelta di una nuova vita da vivere.

Sulla fantasia creativa di Alessandro, giovane regista in cerca di affermazione, è venuta a posarsi una strana figura, che con la sua carica suggestiva chiede di essere condotta di nuovo sulla pellicola. Si tratta di Capo Cervo Bianco, sedicente principe dei nativi indiani, ma al secolo Edgar Laplante, un genio di impostura che negli anni Venti del Novecento sconvolse mezza Europa. In Italia, vestendo camicia nera e copricapo piumato e screziando la retorica mussoliniana di un improbabile esotismo pellerossa, divenne icona della propaganda fascista. (…)

Alessandro intraprende allora una ricerca intensa, un viaggio denso di emozioni tra Parigi e Lisbona, alla caccia di quei fotogrammi in grado di restituire il profilo di un individuo che sembra soverchiato dalla leggenda di se stesso. 

Qualcosa di sofisticato ed enigmatico attraversa queste pagine dalla prosa raffinata e penetrante, che nel raccontare una storia sul filo tra verità e favola, tra illusione e desiderio, tra invenzione e narrazione, si affacciano su una dimensione inquieta e sorprendente, in cui ciò che pare vero non è mai del tutto certo, ma sfuma verso un orizzonte in cui, nel cinema tanto quanto nella realtà, l’immaginazione è la più impetuosa forza creatrice.

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