Grazie a dio sono viva! Potrò ancora stringere il mio bambino tra le braccia. Dio, mio marito! Che farà? Che gli dirò? Gli dirò che mi hanno portato via a forza. Magari ci credesse! No, dio, dio, dio … fammi morire ammazzata, adesso, qui. Come vorrei essere al posto di questo soldato! Come era innocente. Correvano nei campi di grano, gridava e mi chiamava per nome. Ma come si chiamava? Perché non me lo ricordo? Sembra che la battaglia sia finita, che i tori si siano calmati. Come è possibile che la Datsun sia rimasta in mezzo alla strada tra tutte queste raffiche e io sia ancora viva?

Mohammad Hossein Mohammadi ci porta in Afghanistan, con una raccolta di racconti dal titolo “I fichi rossi di Mazar-e Sharif”, tradotta dal persiano da Narges Samadi e pubblicata in Italia da Ponte33, casa editrice specializzata nella letteratura dell’area persiana (prevalentemente Iran e Afghanistan).

A dispetto del titolo che evoca tranquille atmosfere agresti, i quattordici racconti ci catapultano nella cruda realtà dell’infinito conflitto che interessa la martoriata terra afghana. Con una scrittura semplice e lineare, l’autore non risparmia scene brutali e crudeli, dove la violenza è la cifra dominante. Non risparmia nemmeno descrizioni di sofferenze che arrivano come un pugno nello stomaco di chi si avventura fra le pagine di questo libro.

Bambini che urlano terrorizzati sotto i bombardamenti, donne costrette a prostituirsi per racimolare i soldi necessari per sfamare la famiglia, genitori che piangono figli morti ammazzati e divenuti martiri. Il filo conduttore della guerra, come elemento di continuità nella storia dell’Afghanistan da svariati decenni. Cambiano gli attori, i nemici, le ragioni, ma la guerra è sempre lì, e a pagarla sono sempre i più fragili, i più indifesi.

Si era svegliata con il rombo degli aeroplani. Da quando il padre non era più in casa, la mattina si svegliava sempre con il rombo degli aeroplani. Quando si affacciò nel cortile, il sole che era sorto dietro l’albero di fichi l’abbagliò (…) andò nell’angolo assolato del cortile dove si trovava l’albero e guardò fra i rami e le foglie alla ricerca di un fico. Ne avvistò uno turgido e bello rosso; – Come il fuoco! – esclamò. Se ci fosse stato il padre avrebbe detto: “Come le guance di Zara!” e gliele avrebbe pizzicate. Ma il padre non c’era”.

Il sentimento di mancanza, di perdita, di smarrimento che sopraffà le vite di quanti restano, di quanti disperati cercano di sopravvivere alle bombe, alle violenze, alla crudeltà. Ma anche il sentimento straniante di quanti si ritrovano a dover imbracciare un kalashnikov per sparare al nemico di turno, magari per salvarsi a sua volta la vita, per non restare uccisi, in una roulette russa dove il confine fra la vita e la morte è talmente labile da divenire invisibile.

Un libro che ci mette di fronte alla disumanità della guerra, delle sue regole-non regole, e che ci apre la strada all’empatia nei confronti di un popolo che ormai da decenni non conosce altro che questa tremenda realtà.

Articolo di Beatrice Tauro

 

 

Titolo: I fichi rossi di Mazar-e Sharif

Autore: Mohammad Hossein Mohammadi

Editore: Ponte33

Anno: 2012

Pagine: 132

Prezzo: € 16,00

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